Leccio – Montefalco, Camiano Grande

680 1024 Patriarchi Verdi. Itinerari in Valle Umbra
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Nome botanico della specie: Quercus ilex L.
Nome popolare con cui l’albero è conosciuto localmente: leccio di San Fortunato, albero della Silvetta o Selvetta
Circonferenza tronco: 3,7 m
Altezza pianta: 15,0 m (stimata)
Ampiezza chioma: 13,0 m
Età: non definita – la tradizione lega questo leccio alla storia di san Fortunato
Stato di salute (a vista): non buono – come dimostra anche un importante attacco di formiche, constatato all’atto del rilevamento
Altitudine (m s.l.m.): 394
Bibliografia: S. Fortunato di Montefalco, opuscolo; S. Nessi, E. Paoli 1995; S. Nessi 2006
Rilevatore/autore della scheda: Giampaolo Filippucci, Tiziana Ravagli
Segnalato da: Silvestro Nessi – gli autori ringraziano Silvestro Nessi per le informazioni fornite su questa e sulle altre piante censite grazie alle sue segnalazioni e alla sua preziosissima collaborazione, nonché per i dati storici sui luoghi ove le piante stesse sono radicate

Silvestro Nessi ci ricorda la descrizione della pianta di Giovanni Bracceschi, un erudito domenicano che alla fine del Cinquecento così scriveva: «[…] Ha una specie di biforcazione alla sommità, ed è un elce, ed è visibile per la sua altezza da Perugia, e da Spoleto dal Duomo di S. Maria o dalla Rocca; oggi è appellato l’albero della Silvetta e si trova nel campo della chiesa di S. Rocco» [S. Nessi, E. Paoli 1995]. La pianta dimora a Camiano Grande, località Colle n. 5 (zona anticamente denominata Agelli).

La storia di questo leccio è legata a quella del santo, patrono di Montefalco insieme a santa Chiara della Croce. San Fortunato nacque nel IV secolo nel territorio di Montefalco e qui svolse il servizio sacerdotale (a Turri o a Turrita), chiamato a servire Dio e la comunità cristiana locale dal vescovo Ceciliano per le sue innate virtù di carità, umiltà e grande amore per il prossimo. La storia lo ricorda umile tra gli umili e assai operoso. Di modestissime origini, per vivere lavorava i campi come un qualsiasi contadino della zona (tra il III e il IV secolo era abbastanza usuale che i ministri del culto lavorassero). L’iconografia lo rappresenta generalmente in abiti sacerdotali, con in mano un libro e la verga fiorita (che germogliò e diventò un bel leccio), richiamando, pertanto, elementi legati agli eventi miracolosi che si narrano intorno alla sua vita. Il valore simbolico dell’albero, e la religiosità a esso collegata, deriva dai culti pagani che i Longobardi trasferirono nella religione cristiana appena abbracciata. Come osserva Nessi, l’albero attuale non può essere l’originale di san Fortunato; il culto popolare era, tuttavia, così forte che molto probabilmente i fedeli decisero di piantare in quello stesso luogo «[…] dove il pungolo divenne albero, [detto] ‘all’albero santo’ […]» un’altra pianta, in sostituzione dell’antico leccio della Selvetta [S. Nessi 2006]. Secondo alcune storie locali, l’albero originario del IV secolo d.C. fu sradicato e abbattuto dal vento e dalla neve probabilmente nell’inverno del 1870, quando era ormai quasi secco [S. Fortunato di Montefalco, opuscolo].

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