03 (1) – Le ligniti umbre: la formazione dei giacimenti

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Condizioni geologiche generali

In Umbria i giacimenti di lignite studiati o coltivati in passato si trovano in corrispondenza dei terreni Plio-pleistocenici, nelle porzioni marginali della Valle Umbra, della media valle del Tevere e di altre depressioni vallive presenti nella regione, come la valle di Gubbio, il bordo esterno dei Monti Martani, la conca ternana, la valle del Corno tra Leonessa e Monteleone, in corrispondenza dei terreni Plio-pleistocenici presenti.

La struttura geologica di quei luoghi trae le sue origini da eventi avviati più di 200 milioni di anni addietro, quando in un ampio bacino marino indicato
dai geologi col nome di Tetide iniziò un lungo processo di accumulo di materiali sedimentari. Questi acquisirono col tempo una consistenza lapidea
per l’azione della pressione sviluppata dal loro proprio peso e dall’espulsione dell’acqua (diagenesi); si formarono così le rocce presenti nella serie stratigrafica umbra, che rappresenta i materiali che costituiscono le nostre montagne.
Tra il Miocene medio e il Pliocene inferiore, indicativamente tra 10 e 5 milioni di anni fa, l’azione di compressione dei sedimenti marini presenti nell’area mediterranea, sviluppata dal movimento della crosta terrestre con lo spostamento delle placche crostali, determinò l’ispessimento e il corrugamento dei materiali che emersero dal mare formando l’ossatura dell’Appennino.
Questo portò allo sviluppo di pieghe rovesciate, sovrascorrimenti sul margine orientale dei rilievi e faglie dirette, che sono generalmente presenti
e ribassano i loro margini occidentali.
Si formarono depressioni tettoniche corrispondenti a valli più o meno strette e allungate generalmente da nord a sud, come la Valle Umbra tra Bastia e Spoleto, l’alta Valle del Tevere (depressione tra i Monti Martani e i Monti Amerini), la valle del Tevere da Baschi a Orte, ecc.
Le depressioni più occidentali furono interessate da acque marine o salmastre, mentre le valli interne furono occupate da distese lacustri, acquitrini o fiumi divaganti con situazioni varianti sia nel tempo sia nelle diverse porzioni delle stesse.

In particolare:

  • ad ovest dei Monti di Amelia, vi era un’area prevalentemente marina, come testimonia ancora oggi la presenza in posto di depositi sabbiosi ricchi di conchiglie fossili tipiche di quell’ambiente
  • tra i Monti di Amelia e i Monti Martani, erano presenti vari sistemi lacustri e fluviali
  • tra i Monti Martani e quelli di Spoleto, il paesaggio era caratterizzato da laghi chiusi e paludi
Il lago Tiberino

È proprio in questo scenario che da circa 2,5 milioni di anni fa si svilupparono le situazioni ambientali che portarono alla formazione degli ammassi di lignite in varie porzioni dell’area e progressivamente trasformarono il paesaggio fino alle condizioni attuali.

È condivisa ormai da tempo la presenza, a partire circa da quell’epoca, di ambienti lacustri, fluviali e lacustri, conosciuti complessivamente nella letteratura geologica come lago Tiberino; questo si estendeva nei fondovalle da Spoleto ad Assisi e da Perugia a Todi per scendere fino a San Gemini e a Terni, con i Monti Martani che svettavano su questi ambienti e separavano l’attuale conca ternana dalla valle folignate-spoletina.
L’assetto e l’evoluzione di questo bacino è stato oggetto di studi anche recenti, in particolare per le aree di Dunarobba e Pietrafitta, mentre per il ramo orientale ricordiamo:

  • le indagini della Soc. GEMINA, relative all’area di Bastardo, eseguite nella seconda metà del secolo scorso
  • gli studi classici ottocenteschi dell’area spoletina, legati all’avvio dell’estrazione industriale di lignite nell’area
  • i dati acquisiti in circa ottant’anni di coltivazione delle miniere di lignite, conservati negli archivi della società esercente che chiuse gli impianti quasi cinquant’anni or sono

Si propone di seguito una breve sintesi degli eventi succedutisi nel tempo, secondo l’interpretazione corrente.
Nella zona occidentale, un’azione tettonica avviata dal Pliocene inferiore portò ad un ribassamento dell’area. Si delineò così la depressione valliva che tra i 2,5 e 2 milioni di anni fa, cioè nel Pliocene medio, fu occupata da un ampio specchio lacustre con profondità superiore ai 50 metri nella sua porzione meridionale e generalmente superiore ai 10 metri nella restante porzione centro settentrionale.
Il lago fu interessato da una continua sedimentazione di argille limose laminate.
Queste riempivano la depressione in concomitanza del suo lento approfondimento per cause tettoniche, così da formare un deposito sedimentario potente varie centinaia di metri, in cui sono presenti anche antiche conoidi fluviali, tributate dai corsi d’acqua allora attivi, presso Sangemini, Montecastrilli e Collazzone.
In alcune parti del bacino, come ad es. Rosaro e Dunarobba, la debole acclività della costa e una minore esposizione locale al moto ondoso permisero la formazione di paludi ed acquitrini con ampio sviluppo di vegetazione erbacea e di foreste costiere a Taxodiacee (Glyptostrobus), simili agli attuali cipressi di palude.
L’accumulo sul fondo del materiale legnoso, frammisto agli altri materiali vegetali, fu sigillato progressivamente dalla sedimentazione argillosa, creando le condizioni anossiche necessarie per lo sviluppo di processi di carbonizzazione che trasformarono quei resti vegetali in lignite.

È in quest’area che si verifica il caso particolare di Dunarobba in cui numerosi tronchi di Glyptostrobus, in una palude costiera, furono progressivamente sepolti in fase di crescita dal deposito di argilla, permettendone la fossilizzazione in posizione vitale.

Importanti miniere di questo bacino furono coltivate a Todi, a Collazzone e a Massa Martana.
La dinamica fluviale degli immissari nel lago concorse alla deposizione di corpi limoso-sabbiosi e di canali ghiaiosi.

Successivamente, nel Pleistocene inferiore, circa 1,7 milioni di anni fa, il paesaggio mutò progressivamente in un sistema fluviale con senso di scorrimento da nord a sud, verso Narni.
Il divagare dei canali fluviali, con depositi sabbiosi e ghiaiosi, e la deposizione di materiali più fini nelle piane di inondazione produssero una coltre di sedimenti fluviali sovrapposta ai depositi lacustri antichi.

A metà Pleistocene un sollevamento dell’area di Sangemini impedì il deflusso delle acque fluviali verso sud, rallentandole e causandone la deviazione verso Todi.
Il formarsi di piccoli stagni e ruscelli insieme alla presenza di acque sorgive al piede dei Martani causò ampi depositi di travertini.
Dal Pleistocene superiore iniziò a prevalere l’attività erosiva della rete di drenaggio superficiale, disarticolando la morfologia dei luoghi fino all’attuale assetto.

Diversa è la situazione del ramo orientale del Lago Tiberino.

Per questo si può far riferimento a studi relativamente recenti per l’area del Bastardo (GEMINA, anni Sessanta del secolo scorso), mentre per l’area di Spoleto, dopo gli studi storici di fine Ottocento legati all’avvio dello sfruttamento industriale delle lignite, non si hanno praticamente più dati se non quelli della Società ‘Terni’ in fase di esercizio dell’attività estrattiva, di cui sembrano restare solo pochissime informazioni.

Le due aree presentano differenti condizioni ambientali, cronologiche e sedimentarie.

Nell’area di Bastardo, in cui sono rilevabili sedimenti del Pleistocene inferiore (1,6-1,1 milioni di anni), non era presente un unico lago di grandi dimensioni, ma più facilmente un insieme di ambienti lacustri, comunemente di piccola estensione, separati da aree emerse e da zone palustri.

Questi piccoli bacini avevano un’altezza generalmente inferiore a 10 m; tale dato è testimoniato dal rinvenimento di molluschi fossili che vivono sotto quella profondità e dalla presenza di strutture che segnalano come il fondale risentisse dell’azione del moto ondoso.
Ai bordi di questi sottili specchi d’acqua cresceva una ricca vegetazione, prevalentemente erbacea, che lasciò importanti depositi organici, trasformatisi nel tempo in lignite.
Di questi, i cinque banchi superiori fanno riferimento al complesso argilloso e al sovrastante complesso argilloso-sabbioso (GEMINA, 1962), mentre il primo banco, più potente e profondo, è di datazione incerta.

L’area di Spoleto invece sembra presentare una situazione più somigliante al ramo occidentale del Lago Tiberino.

Qui si ebbe un ampio sviluppo di sedimentazione lacustre argillosa a datare dal Pliocene medio e superiore (2,6-2,0 milioni di anni), che in questa area raggiunge il suo massimo spessore di quasi 600 metri, testimoniato dall’attività estrattiva della Terni.
I sedimenti presenti sono le argille limose grigio scure, con intercalate ghiaie, che, tributate dai corsi d’acqua confluenti (Marroggia, Tessino, ecc.), si andavano depositando dai margini verso il centro del bacino.
La presenza di banchi di lignite xiloide (piligno) costituita prevalentemente di tronchi d’albero, analogamente ai depositi di Dunarobba e Rosaro, testimonia la presenza di prossime coperture boschive in cui si aveva la prevalenza di Taxodiacee, Pinus haploxylon e subordinatamente Nyssa, Podocarpus, Tsuga, ecc. (secondo i diagrammi pollinici di GEMINA); queste attestano un clima temperato tendente al caldo.
La presenza diffusa di lignite torbosa o torboxiloide sembra indicare l’esistenza di torbiere, stagni e acquitrini in cui si aveva l’accumulo sia di materiali erbacei sia legnosi.
Esaminando l’attuale distribuzione in affioramento dei sedimenti lacustri antichi, si può ipotizzare che l’estensione del lago potesse essere relativamente
ampia, con acque dolci e fondali superiori ai 10 m, testimoniati dagli Ostracodi e dalla malacofauna presente.

Con il Pleistocene l’evoluzione del paesaggio assunse degli elementi di similitudine con il ramo occidentale del lago: scomparve il regime franco lacustre ed ebbe inizio una fase fluvio-palustre, con il divagare di canali fluviali e piane d’inondazione, in una valle in cui sono ancora presenti ampi specchi lacustri e palustri (Lacus Clitorius, Lacus Umber).
Questi sono rimasti fino a tempi storici, per scomparire solo con le continue opere di bonificazione della valle che hanno caratterizzato gli ultimi quattro secoli di storia umbra.

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