Focus le ERBE VELENOSE: altre specie… in breve

Al termine di questo piccolo erbolario dei semplici tossici e velenosi, in premessa di questa scheda finale, vogliamo evidenziare che le specie proposte in questo sito non sono certamente esaustive di tutte le essenze velenose o tossiche presenti nel nostro territorio, sia spontanee, sia coltivate, ma offrono comunque un quadro abbastanza ampio sull’argomento trattato e un buon punto di partenza per tutti gli interessati che vorranno approfondire l’argomento.

A

Amarillide

Amaryllis belladonna, famiglia delle Amarillidacee – originaria del Sudafrica, molto diffusa come pianta da appartamento per i grandi fiori gigliformi, molto profumati e belli.

Tutta la pianta è tossica (in special modo lo è il bulbo) per la presenza di alcaloidi tra cui citiamo la bellamarina.
Le popolazioni primitive indigene usavano utilizzare il veleno estratto dai bulbi di amarillide (opportunamente miscelato ad altri composti vegetali) per avvelenare le punte delle frecce.

B

Begonia

Begonia semperflorens Link e Ott, famiglia delle Begoniacee – ha fiori piccoli da bianchi a rosa pallido; ne esistono numerosi ibridi.

Questa specie può causare dermatiti da contatto, specialmente maneggiandone le foglie.

D

Dalia

Dahlia variabilis (Willd.) Desf., famiglia delle Composite – è una pianta dai bellissimi fiori rosso scarlatto.
Del genere Dahlia esistono numerose specie, alcune anche a fiori bianchi come la Dahlia imperialis e ibridi, con varietà coltivate di tantissimi colori diversi.

La Dahlia  causa dermatiti da contatto e disidratazione cutanea, specialmente maneggiando le foglie e i tuberi.

Dieffenbachia

Dieffenbachia ssp., famiglia delle Aracee – è una elegante pianta molto utilizzata, per le sue belle foglie di colore verde intenso screziate di bianco, come pianta d’appartamento.
Può provocare dermatiti da contatto specialmente maneggiando le foglie e il fusto.

Inoltre, se una di queste parti, anche in piccola dose, viene portato a contatto della mucosa oro-faringea, può causare un edema delle parti toccate, con lesioni bollose, ed anche con difficoltà respiratorie.
In caso di ingestione si può arrivare ad emorragie gastriche.
Non per nulla gli indigeni dell’Amazzonia utilizzavano una mistura di succhi di varie piante, tra cui la dieffenbachia, per avvelenare le punte delle frecce.
Nei paesi anglosassoni, questa pianta è conosciuta come canna muta: il contatto del latice di foglie e fusti con la mucosa della bocca rende, infatti, temporaneamente afoni.

E

Equiseto

Equisetum ssp., famiglia delle Equisetacee
Nei nostri campi umidi e lungo le rive di fossi e torrenti che solcano la valle umbra meridionale si trova facilmente l’Equisetum arvense L., equiseto o coda cavallina: è una pianta alta fino ad 80 cm, senza fiori (crittogama vascolare), con fusti fertili terminanti a clava, con sporangi riuniti in spiga.
Ha fusto non più largo di 5 mm di diametro, con poche guaine con 6-12 denti e spiga a sporangi di 10-40 mm.
Il fusto sterile è costolato.
È tipica delle aree ruderali umide, ove si presenta in colonie inconfondibili.

Specie simile è l’Equisetum telmatéia Ehrh., alto 30-150 cm, con numerose guaine a 20-30 denti e fusto di grosso diametro (fino a 15 mm).
Il fusto sterile è liscio.
In entrambe le specie, fusti sterili e fusti fertili sono del tutto dissimili.
Un tempo si utilizzavano in cucina i giovani fusti fertili, raccolti in primavera.
Dopo attenta sbollentatura (che gli fa perdere l’alto contenuto in silice), e dopo averli ripuliti dalla guaina e dalla spiga (con sporangi), erano conditi con olio, sale e qualche goccia di limone, a mo’ di turgidi turioni d’asparago.
Il fusto finemente scabroso, per l’alto contenuto in silice, si utilizzava all’occorrenza per pulire e lucidare le suppellettili di stagno.

Come specie officinale viene riconosciuto l’Equisetum arvense L.; è frequente tuttavia anche l’uso terapeutico dell’equiseto maggiore (Equisetum telmateia), che possiede le stesse proprietà della specie officinale.

L’Equisetum arvense contiene dal 18 al 20% di sali minerali, 2/3 dei quali sono costituiti da acido silicico (per il 10% sotto forma di silicati idrosolubili).
Tra i minerali spicca inoltre il potassio (3-5%); gli altri minerali presenti sono: calcio, magnesio, fosforo, azoto, zolfo, sodio, tracce di zinco e manganese.
Sono pure presenti flavonoidi, saponine, acidi organici, tracce di alcaloidi, tra cui la nicotina, tannini, ecc.

Specie simili e congeneri, come l’Equisetum palustre Equisetum sylvaticum, sono tossiche: per questo abbiamo inserito anche l’equiseto tra le piante di cui è bene diffidare non essendo facile il riconoscimento delle diverse specie.

F

Faggio

Il faggio (Fagus sylvatica L.), della famiglia delle Fagacee, è un albero molto grande che può raggiungere i 30-40 metri d’altezza.
Ha tronco liscio di colore grigio, quasi metallico, foglie lucide e frutti, le faggiole, a sezione triangolare.
Queste sono ricoperte da aculei sottili; a maturità si aprono in quattro sezioni e cadono, per germinare nella primavera successiva.

Le faggiole, secondo alcuni autori (ad es. O. Polunin “Guida agli alberi ed arbusti d’Europa”, Zanichelli Editore, 1977), sono commestibili e per esperienza diretta possiamo dire che una – due faggiole (una tantum) certamente non ci hanno causato problemi.
La presenza, tra gli altri componenti, di saponine e tiaminasi, tuttavia, ci fa consigliare grande prudenza nell’assunzione di questo frutto.
Un’ingestione importante, soprattutto da parte dei bambini che hanno un organismo sicuramente più delicato, può, infatti, causare danni anche seri.
Accenniamo che in letteratura (vedasi ad es. Luzzi P. “Piante selvatiche velenose”, Edagricole, 1995) sono segnalati casi di avvelenamento di suini a cui è stata somministrata una dieta particolarmente ricca in faggiole, cosa che poteva avvenire periodicamente nelle più povere regioni montane.
Il faggio, infatti, a cicli di 5-10 anni, ha una produzione di noci particolarmente abbondante.

La plantula ha un aspetto inconfondibile per la caratteristica coppia di foglioline rotondeggianti presenti alla base, da cui si erge il giovane germoglio.
Il faggio quando veste i colori autunnali raggiunge tonalità bronzee.
In primavera, spicca sulle coste montane per il verde pallido del suo fogliame che, a maturità, assume toni intensi.

Filodendro

Philodendron ssp. sl. L., famiglia delle Aracee – il latice contenuto nei gambi delle foglie e nel fusto può provocare dermatiti da contatto e, se ingerito, stomatiti.

Fitolacca americana

Phytolacca americana L., famiglia delle Fitolaccacee. È la così detta “uva turca”.
Si tratta di una pianta erbacea perenne alta sino a tre metri, con foglie alterne, piccole ed ovate, fiori bianchi poco appariscenti.
In autunno la pianta assume caratteri decisamente sgargianti, con le foglie e parte del fusto che divengono color rosso-fuoco mentre dai fiori ormai appassiti si sviluppano infruttescenze di bacche color porpora scuro che macchiano tantissimo.

Bacche e pianta adulta sono irritanti, possono causare per ingestione problemi gastrointestinali, con disturbi molto fastidiosi specialmente nei bambini.
È pianta infestante di orti e giardini, si trova in generale negli ambienti ruderali.

G

Geranio coltivato

Geranium maculatum L., famiglia delle Geraniacee – questa pianta può causare dermatiti da contatto, specialmente in soggetti sensibili.

Gelsomino

Jasminum officinale L., e specie affini, famiglia delle Oleacee – può causare dermatiti da contatto e irritazioni, in special modo maneggiando i fiori, inconfondibilmente fragranti.

Ginepri

Juniperus oxycedrus L., Juniperus communis L., Juniperus sabina L., famiglia delle Cupressacee – come noto le bacche scure del ginepro comune sono frequentemente utilizzate in cucina per aromatizzare i cibi, gli arrosti in particolare.
Con le bacche di un tipo di ginepro, inoltre, viene profumato il liquore anglosassone noto come gin.
Un utilizzo esagerato di queste piante aromatiche è sempre sconsigliato per la presenza di composti irritanti.

Nelle Alpi e in alcune aree appenniniche, inoltre, è presente la specie Juniperus sabina che è decisamente la più velenosa tra tutti i ginepri; Nei casi più gravi l’uso del J. sabina può provocare anche la morte.

Si distingue dalle altre specie perché le foglie, riunite a verticilli di tre elementi, aghiformi da giovani, divengono squamiformi e addossate ai rametti, da adulte; mentre le bacche sono di colore nero-azzurro, pruinose, presentano cioè una leggera velatura biancastra, e pendenti.

Dunque il consiglio è imparare a distinguere i vari tipi di ginepro e comunque non esagerare mai con l’utilizzo di piante aromatiche.

L

Lupino

Lupinus albus L., Lupinus polyphyllos Lindl., e specie affini, della famiglia delle Leguminose – si tratta di una specie facilmente coltivata nei giardini per le macchie di colore che riescono a donare ai nostri spazi verdi.

I semi di queste piante contengono vari alcaloidi: se consumati freschi possono rivelarsi mortali, specie per i bambini.

O

Oleandro

Nerium oleander L., famiglia delle Apocinacee – le manifestazioni più comuni della tossicità dell’oleandro sono le dermatiti per contatto che si sviluppano toccando le foglie.

È noto, dalla letteratura di settore, che carni arrostite con legna di oleandro possono determinare casi di avvelenamento.

P

Pervinca

Vinca minor L., Vinca maior L., famiglia delle Apocinacee – pianta strisciante, con fiori violetti a corolla rotata portata su steli corti ed eretti.
Ha foglie lucide ed ovate, superiormente di colore verde intenso.
Contiene alcaloidi usati per scopi terapeutici, tossici in caso di sovradosaggio.

La pervinca rosa (Cathharanthus roseus = Vinca rosea), specie originaria del Madagascar, ma oggi coltivata ovunque, contiene alcaloidi di cui si sta studiando l’azione antitumorale.

R

Rosacee

Cotoneaster ssp. L., Prunus ssp. L., Sorbus ssp., famiglia delle Rosacee – molte rosacee contengono, nei frutti o nei semi, un principio attivo altamente tossico la amigdalina, che per azione enziamtica nel tubo digerente libera il velenosissimo acido cianidrico.
L’amigdalina è presente nella parte carnosa dei frutti dei Cotoneaster ssp. e nei semi, ad esempio, dei generi Prunus e Sorbus.
Tra i Prunus coltivati ricordiamo le pesche e le albicocche, mentre tra i Sorbus spontanei nel nostro territorio, il sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia) e il sorbo montano (Sorbus aria).

Ricordiamo che l’ingestione dei semi (le così dette mandorle) delle albicocche o delle pesche può causare gravi forme di avvelenamento, cinque semi (ma in soggetti delicati anche meno) possono rivelarsi addirittura mortali per un bambino.

Ruta

Ruta graveolens L., detta anche erba ruta, famiglia delle Rutacee – è una pianta inconfondibile, originaria del Mediterraneo orientale, talora inselvatichita anche nei nostri ambienti sub-montani, spesso coltivata.
Ha fusti dal particolare e tipico colore blu-verde, lisci, dall’odore distintivo, molto penetrante.
Le foglie sono piccole e triangolari, i fiori sono piccoli, a 4-5 petali gialli, con 4-5 sepali liberi, i frutti sono capsule contenenti semi neri angolosi.
È una pianta medicinale, si raccoglie prima della fioritura quando ha il massimo contenuto in principi attivi, tra cui ricordiamo la rutina (un alcaloide), tannini e resine.
Utilizzata in gravidanza può portare ad aborti spontanei.
Nell’uso esterno può causare fenomeni di foto-sensibilizzazione e dermatiti anche gravi.
Pianta considerata magica, per il suo odore penetrante, si riteneva potesse proteggere dai serpenti velenosi, in particolare dalle vipere.

Tutta la pianta contiene componenti tossici e la tossicità è complessivamente elevata. La ruta è una pianta da trattare con grande accortezza.

S

Senecione di san Giacomo

Senecio jacobea L., famiglia delle Composite – pianta erbacea alta anche 80 cm con fusto rosso-brunastro, caratterizzato da evidenti solcature.
La parte superiore è molto ramificata e porta pannocchie fiorali con capolini di colore giallo di 1,5-2,0 cm di diametro.
Ad impollinazione avvenuta i fiori sterili (quelli erroneamente ma comunemente considerati i petali del fiore) si abbassano.
Il frutto è un achenio cilindrico con pappo lungo circa il doppio dell’achenio stesso.
Animali al pascolo che si nutrono del senecione di San Giacomo sono soggetti ad avvelenamento cronico con problemi digestivi ed epatici, andatura barcollante, collasso.

Questa pianta contiene alcaloidi tossici che portano a gravi alterazioni del fegato.

T

Tulipano

Tulipa ssp. sl. L., famiglia delle Liliacee – la presenza di un glicoside (la tulipanina A) rende i bulbi, ma anche i petali, tossici e possibile causa di dermatiti e vomito.

È opportuno utilizzare i guanti per maneggiare i bulbi di tulipano ed evitare di mangiarne i petali, se qualcuno li avrà usati per decorare, ad esempio, un bel dolce!

V

Viburno

Viburnum opulus L., famiglia delle Caprifogliacee – la presenza di saponine e di un olio essenziale può causare irritazioni gastrointestinali, diarrea, vomito e collasso cardiocircolatorio, e condurre sino alla morte.

Le parti più pericolose sono le bacche rosse, in particolare per i bambini che più facilmente ne possono essere attratti per il colore appariscente, e la corteccia, peraltro usata in omeopatia per combattere i dolori mestruali.

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