Trevi, la villa di Rio Secco

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La Villa di Rio Secco, anticamente detta di Rivo Secco, è un caseggiato attualmente di proprietà della Comunità Montana dei Monti Martani, Serano e Subasio (in liquidazione). Questo Ente ha provveduto nel tempo a importanti opere di restauro che hanno evitato il decadimento generale e completo della struttura.

In passato Rio Secco è stata una villa di una certa importanza, per un periodo balìa autoreggentesi, in altri periodi alle dipendenze di Pettino o di Coste.
Nel 1432 all’interno vivevano venti famiglie.
Prese il nome, dal fosso che scorreva sotto la villa.
Confinava con Pettino, Cammoro e Coste ed aveva un territorio molto povero, selvaggio, montagnoso e boscato con pochi acri coltivabili, tra cui ricordiamo il Piano di Rio Secco, probabilmente anticamente detto Piano de’ Pozzi.
L’unica risorsa gli derivava dal pascolo, peraltro misero in quanto privo di fonti di acqua viva.
Rio Secco, con tutte le abitazioni dipendenti, venne acquistato dalla famiglia Valenti. L’abate Alexandro, infatti, intese farne un castello e vi fabbricò «[…] col disfacimento delle altre fabriche, la ben grande abitazione ad uso di castello, facendo (che) si dichiarasse contea per sé e per i suoi successori[…]» Era circa l’anno 1535.
All’interno del castello, fattavi erigere dallo stesso abate Alexandro, troviamo la chiesa di Santa Maria della Neve.
Questa fu costruita per sostituire la chiesa romanica di S. Pietro che, restata fuori dalle mura, era andata in progressiva rovina.
Ricordiamo per curiosità che la Madonna della Neve si festeggia il 5 agosto.

Nei pressi della villa di Rio Secco vegeta un bellissimo noce, censito con il progetto Patriarchi verdi della Comunità montana dei Monti Martani, Serano e Subasio.

«Il 4 giugno del 1553 si presenta al Consiglio generale del comune di Spoleto il notaio Pergirolamo Delfini rientrato da poco in città Riferisce di aver sentito dire a Roma che Alessandro Valenti di Trevi aveva richiesto in Curia la spedizione di un breve pontificio che lo autorizzasse a costruire un castello, ai confini dei castelli di Orsano e Cammoro, nel luogo chiamato Rivosecco e ad esserne riconosciuto con il titolo di conte e signore, insomma una sorta di investitura feudale a tutti gli effetti. Il Consiglio che vede nella richiesta del Valenti una minaccia ai propri diritti, dapprima cerca di assumere informazioni certe dagli abitanti dei propri Castelli e nomina una commissione di 5 uomini con il compito di indagare. La commissione si riunisce per la prima volta il 9 giugno con una modalità ispirata alla massima riservatezza, giacché, di fatto non esisteva nessun documento ufficiale sull’affare. Il 20 giugno il comune spoletino, alle prese con i gravissimi problemi determinati dall’alluvione del settembre 1552, in stato di forte preoccupazione per il passaggio delle truppe imperiali e sempre più impegnato a contrastare le vessazioni fiscali romane, decide di inviare degli ambasciatori a Roma. Fra le istruzioni loro date figura anche quella di fare in modo che il progetto del Valenti sia bloccato ad ogni costo. La missione ha successo: il governatore della città Baldovino Ciocchi del Monte, fratello di papa Giulio III, prende decisamente le parti dei suoi governati e, dopo aver opportunamente preparato il terreno, di fatto ferma la spedizione del breve.
Al Valenti dunque non resterà che aspettare altri tredici anni per realizzare il sogno di vedersi investito di un titolo nobiliare, cosa che accadrà sotto il pontificato di Pio V, come ricorda una pomposa lapide conservata, insieme al suo monumento funebre, nella chiesa di San Giovanni di Trevi.»

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