Campello sul Clitunno

A cura di Tommaso Mattioli
CAMPELLO SUL CLITUNNO

I rinvenimenti relativi ad una frequentazione cultuale e rituale della grotta di Pian delle Rotte sul versante meridionale del monte Pradafitta attestano una presenza umana nell’area di Campello sul Clitunno nel periodo Neo-eneolitico e nella media età del Bronzo. Più a valle presso le Fonti del Clitunno l’archeologo spoletino Giuseppe Sordini individuò agli inizi del ‘900 ornamenti in bronzo e grandi olle con costolature, molto simili agli esemplari rinvenuti presso le necropoli di San Pietro a Spoleto e a quelli trovati recentemente nei nuovi scavi di Piazza d’Armi. L’abitato umbro di Spoleto in questa fase controllava presumibilmente l’intero territorio di Campello attraverso una serie di piccoli recinti fortificati, i cosiddetti castellieri, dislocati sulle alture che dominano le vie di comunicazione ed i punti strategici. Il territorio di Campello venne diviso in epoca romana tra il municipium di Trebiae e la colonia di Spoletium. Punto nevralgico erano le Fonti del Clitunno, una serie di sorgenti che formano uno specchio d’acqua di circa 400 metri di perimetro, la cui portata in antico doveva essere maggiore, almeno in base ai dati forniti da Plinio il Giovane e Strabone. Plinio parla esplicitamente di un flumen amplissimum che tollerava in larghezza il passaggio di due imbarcazioni; Strabone ricorda come navigabile il Teneas, il fiume di Bevagna (da identificare col Clitunno) e accenna alle imbarcazioni che convogliavano i prodotti al Tevere e a Roma. Numerosi autori antichi menzionano le Fonti, il santuario e le sue acque miracolose. Lungo la via Flaminia, inaugurata nel 220 a.C. dal console romano Caio Flaminio, l’Itinerario Gerosolimitano (333-334 d.C.) ricorda una Mutatio Sacraria, un’area di sosta per la notte generalmente disposta ad una giornata di viaggio l’una dall’altra, nome che evoca gli edifici sacri delle Fonti efficacemente descritti da Plinio il Giovane. L’imperatore Augusto assegnò a Spello la zona sacra delle sorgenti e i balnea (terme), affidando alla colonia anche la gestione del santuario e la centuriazione dei terreni prospicienti. Le notizie successive, assai scarse, si riferiscono a sismi verificatesi tra la metà del IV e la fine del V secolo d.C. Nel 492 la valle spoletina viene descritta come “spopolata e inselvatichita”, testimoniando lo stato di abbandono in cui dovette versare alla vigilia delle opere di bonifica teodoriciane.
In età longobarda il territorio entrò a far parte del Ducato di Spoleto. A quest’epoca risale il pregevole monumento del Tempietto del Clitunno (San Salvatore), un piccola chiesa a forma di tempio corinzio tetrastilo costruito con materiali di reimpiego, inserito nel gruppo dei siti “Longobardi in Italia: i luoghi del potere”, comprendente altri sei luoghi densi di testimonianze architettoniche, pittoriche e scultoree dell’arte longobarda iscritto dal 2011 alla Lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO.

La mappa del territorio con i luoghi di interesse archeologico censiti (clicca sul segnalino per aprire la scheda)

Alcune schede

Tempietto del Clitunno

Ubicato alla base del colle di Pissignano, lungo la via Flaminia, si trova il sacello del Clitunno su di un alto podio, dedicato al Salvatore. Si tratta di un tempietto prostilo a pianta rettangolare in cui è racchiusa una cella raggiungibile tramite i due piccoli portici posti ai lati del pronao. Sulla fronte sono quattro colonne di reimpiego: le centrali, in breccia verde d’Egitto, sono decorate con un motivo a squame, ad imitazione del fusto delle palme.
Il tempietto presenta gli elementi tipici dell’architettura, della decorazione scolpita e pittorica giustinianee: non solo la grande croce latina, con l’intreccio della trama della corona di spine, importante reliquia conservata a Costantinopoli e messa in valore proprio da Giustiniano, fra tralci dei frontoni principali, ma anche le decorazioni del grande tabernacolo interno, che richiama indubbiamente la contemporanea architettura di area costantinopolitana e siriaca.
All’interno della cella, in corrispondenza della parete absidata di fondo, è inserita un’edicola marmorea decorata da un timpano triangolare. Sulla parete di fondo affreschi con i santi Pietro e Paolo, il Cristo, gli angeli e ai lati del tabernacolo due eleganti palme. All’interno del tempietto sono conservate, sia come rimpieghi che scolpite sull’architrave del sacello, numerose epigrafi d’età romana di cui solamente una risulta a tutt’oggi dispersa. Sempre dal tempietto o dalle sue immediate adiacenze provengono pure: un piccolo frontone con Chrismon, un plinto e un capitello datati al IV-V secolo, due statue in pietra calcarea locale di cui almeno una databile alla seconda metà del II sec. d.C., tre frammenti marmorei decorati pertinenti ad una trabeazione. Ancora nei pressi del tempietto era visibile, almeno fino al XVIII secolo, una sorgente d’acqua racchiusa da una piccola fonte detta “di Diana” su cui era incisa un’iscrizione andata distrutta assieme alla fontana. Estremamente discussa la datazione dell’edificio, che oscilla fra il IV e il XIII secolo (anche se oggi una data così bassa è abbandonata da tutti gli studiosi). Gli ultimi studi tendono a propendere per il V-VI secolo, all’epoca teodoriciana (S. Nessi) o giustinianea (M. Pagano che collega la costruzione dell’edificio alla celebrazione della vittoria sui Goti, presso Gualdo Tadino nel 552). Altri preferiscono invece una datazione all’epoca longobarda (VII-inizi VIII secolo): dal 25 giugno 2011 il Tempietto è inserito nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO “I Longobardi in Italia: i luoghi del potere”.

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