Cannara

A cura di Roberto Orsini
CANNARA

Nei pressi del piccolo borgo medievale di Collemancio, sulla propaggine sud-occidentale della collina denominata topograficamente La Pieve, è possibile ammirare ancora oggi i resti di Urvinum Hortense, antico municipio romano collocato in un punto di grande bellezza paesaggistica, che abbraccia gran parte della Valle del Tevere e la Valle Umbra. Tale posizione, sensibilmente elevata rispetto ad altri centri antichi d’altura conosciuti nel territorio, fa pensare ad un ruolo strategico di controllo sia sulle città di media costa (Assisi, Spello, Bettona, Trevi) sia su quelle di pianura (Foligno, San Giovanni Profiamma, Spoleto). Il paesaggio che il centro domina dall’alto ha subìto nel corso dei secoli notevoli trasformazioni: un grande invaso lacustre formato dalle acque del Topino, del Chiascio e del Clitunno occupava ancora in età storica la Valle Umbra. In età romana gran parte delle acque si era già ritirata, formando due distinti bacini: il Lacus Umber si estendeva nella parte settentrionale della pianura tra Assisi, Spello e Bevagna; nella direzione opposta, verso sud, il Lacus Clitorius era alimentato dalle acque dei torrenti Maroggia, Clitunno e Teverone. L’opera di prosciugamento si può far risalire al periodo repubblicano, in virtù della realizzazione della via Flaminia e della fondazione dei centri di Mevania (Bevagna), Forum Flaminii (San Giovanni Profiamma) e Trebiae (Trevi) sorti in aree precedentemente occupate dal lago.
La pianura era ricca di corsi d’acqua e adatta all’agricoltura e all’allevamento; lungo i fiumi, in gran parte navigabili, piccole e medie imbarcazioni trasportavano i prodotti coltivati nella regione risalendo gli affluenti fino al Tevere e quindi verso Roma. Un importante documento rinvenuto a Collemancio e conservato presso il Museo Città di Cannara, insieme alle numerose testimonianze emerse dagli scavi di Urvinum Hortense (tra cui lo splendido mosaico delle terme) racconta di un certo Priamus che nel II secolo a.C. ricoprì la carica di magister navium (pubblico ufficiale preposto al controllo della navigazione fluviale) testimonianza dello sfruttamento dei corsi d’acqua con finalità commerciali fin da un periodo repubblicano piuttosto remoto. La storia di Urvinum Hortense è pressoché sconosciuta, nonostante le numerose testimonianze epigrafiche e una controversa nota dello storico Tacito (Annales, III, 62). Le cause che portarono al definitivo abbandono del centro sono state individuate in una serie di terremoti rovinosi che nel corso del V secolo d.C. sconvolsero la regione causando, oltre a morte e distruzione, anche l’interruzione della navigabilità dei fiumi e di conseguenza il collasso dell’economia locale. Con l’arrivo delle orde barbariche nell’Italia centrale (545 d.C.) numerose città umbre furono saccheggiate e distrutte. La piccola chiesa di Sancta Maria de Orbinum (costruita tra il VI e il IX secolo d.C.) divenne per la popolazione locale un centro di aggregazione alternativo alla città, ormai in totale stato di abbandono. Lo spostamento verso località limitrofe (Collemancio, Cannara, Limigiano) che garantivano migliori condizioni di vita fu lento e graduale, seppure ininterrotto.

La mappa del territorio con i luoghi di interesse archeologico censiti (clicca sul segnalino per aprire la scheda)

Alcune schede

Collemancio, La Pieve, Urvinum Hortense

Ci troviamo a Collemancio, in località La Pieve. Il tempio è costeggiato da un tratto di strada romana che costituisce quasi il proseguimento del sentiero in terra battuta che collega il castello di Collemancio all’altura dove è situato il centro antico: è il Cardo Maximus, la grande arteria che attraversava la città in direzione sud-nord intersecandosi con il Decumanus Maximus che tagliava l’abitato da est a ovest in prossimità dell’area del foro. Della strada romana rimane un lacerto di circa 25 m, costituito da grossi basoli di pietra locale di diversa grandezza. In tempi recenti, lungo il versante occidentale, è stata individuata una strada secondaria che si dirigeva verso Bettona.
L’edificio, orientato nord-sud, è di tipo tuscanico a cella tripartita con un ampio vestibolo antistante (pronao) che misura 23,60×17,70 m; è costruito con blocchi di arenaria squadrati. L’area del pronao doveva essere occupata da una duplice fila di colonne, quattro sulla fronte e due in asse con quelle d’angolo. La cella centrale era dedicata alla massima divinità del pantheon romano, Giove, mentre in quelle laterali più piccole erano venerate rispettivamente Giunone e Minerva, sul modello della Triade Capitolina romana.
In questa stessa località troviamo la chiesa altomedievale, sorta in adiacenza al tempio romano, all’imbocco del Cardo Maximus della città antica. L’edificio cristiano è stato quasi interamente costruito con materiali di spoglio del vicino tempio romano, in una fase in cui esso era già abbandonato da secoli; grossi blocchi in arenaria si alternano a tratti in muratura composita formati da pietre di piccole e irregolari dimensioni disposte di taglio. Il complesso, orientato verso est, è composto da un’aula basilicale bipartita terminante con una profonda abside: a circa metà della sua lunghezza, il piano pavimentale si rialza creando una netta demarcazione tra la zona riservata ai fedeli per l’ascolto della liturgia e il presbiterio, dove il sacerdote celebrava le funzioni liturgiche. In prossimità dello spigolo destro del complesso si trova un ambiente quadrato di limitate dimensioni identificato come sagrestia. Presso la fronte dell’edificio si scorgono i resti di un piccolo vano rettangolare, identificato come pozzo.

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